Bail in: traduzione
“Bail-in” ha un significato che occorre opportunamente approfondire…
“Bail-in” è una definizione inglese che, letteralmente, significa “cauzione interna“. In senso un po’ più ampio, può essere tradotta con “garanzia interna” o “prelievo interno” o “salvataggio interno“.
A livello pratico, è un termine utilizzato per indicare l’intervento a fronte dell’eventuale crisi economica di una struttura, con il diretto coinvolgimento di risorse interne.
Bail-in nelle banche
Il bail-in è una modalità relativamente nuova, solitamente applicata al sistema bancario.
In sintesi, nel caso in cui un ente creditizio entri in crisi, sono chiamati a intervenire gli investitori: sostanzialmente, prevede il diretto coinvolgimento di azionisti, obbligazionisti e correntisti.
È nata come alternativa alle modalità di salvataggio adottate in passato che prevedevano interventi da parte dello stato e, di conseguenza, dei contribuenti.
Un approfondimento è d’uopo.
Sotto l’aspetto normativo, il bail-in è stato introdotto come strumento di “risoluzione” di crisi dalla direttiva 2014/59 dell’Unione Europea e, dal 1° gennaio 2016, è possibile applicare la direttiva “Bank Recovery and Resolution Directive” (BRRD), recepita in Italia dai D. lgs. n. 180 e n. 181 del 16 novembre 2015.
Sotto l’aspetto pratico, nel caso in cui per una banca si manifestino rischi o condizioni per un dissesto finanziario e, in tempi ragionevoli, non si ritengano possibili o efficaci azioni di vigilanza o operazioni di natura privata, come ad esempio la ricapitalizzazione, si aprono due principali scenari.
In un primo caso estremo, le autorità possono decidere di dichiarare la liquidazione.
In alternativa, nel caso in cui con la liquidazione ci sia ad esempio la possibilità di mettere a rischio la stabilità e la continuità dei servizi finanziari o la tutela di clienti e depositanti, la BRRD assegna alle autorità – ruolo che In Italia è ricoperto dalla Banca d’Italia – alcuni poteri di intervento.
In particolare, in nome dell’interesse pubblico e della continuità, possono decidere di avviare il processo di “risoluzione”, una sorta di ristrutturazione gestita da un ente indipendente: in estrema sintesi, prevede la possibilità di vendere a privati una parte delle attività, di trasferire pro-tempore le attività e passività a un ente (“bridge bank”) costituito e gestito dalle autorità per garantire la continuità delle funzioni più importanti in vista di una successiva vendita sul mercato, di spostare le attività deteriorate in una società (“bad bank”) per consentire di gestirne la liquidazione in tempi brevi e, infine, di applicare il bail-in.
Tecnicamente, il bail-in prevede la svalutazione di azioni e crediti e la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in crisi (o, al limite, una nuova entità che possa proseguirne le funzioni principali).
Deve essere rispettato un principio fondamentale: i creditori e gli azionisti non possono in alcun caso subire perdite maggiori di quelle che affronterebbero in caso di liquidazione della banca (“no creditor worse off”).
Bail-in: conti correnti, depositi, titoli, passività
In sintesi, la procedura di bail-in non può riguardare:
– i depositi fino all’importo di 100.00,00 euro per ogni singolo depositante o fino a 200.000,00 euro in caso di conto è cointestato;
– obbligazioni bancarie garantite
– titoli presenti in un deposito titoli, qualora non siano stati emessi dalla banca coinvolta nel bail-in
– patrimoni di clienti custodite presso la banca (es. il contenuto delle cassette di sicurezza)
– i debiti commerciali, quelli verso i dipendenti nonché quelli fiscali, a patto che siano privilegiati dalla normativa fallimentare
– le passività interbancarie (con l’esclusione dei rapporti infragruppo) con durata originaria inferiore a 7 giorni;
– le passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a 7 giorni.
Sugli altri elementi, che invece possono essere coinvolti dal bail-in, esiste un ordine gerarchico, partendo dalla categoria più “rischiosa”, secondo l’ordine sottostante:
– azioni bancarie ordinarie e altri titoli di capitale, come ad esempio obbligazioni convertibili o azioni di risparmio;
– titoli subordinati senza garanzia (es. obbligazioni subordinate);
– obbligazioni bancarie non garantite ed altre passività ammissibili;
– depositi di importo superiore a 100.000,00 euro intestati a piccole e medie imprese o persone fisiche.
L’intervento dello Stato è previsto solo in casi estremi, quando ad esempio è a rischio il sistema finanziario o in pericolo il pubblico interesse, senza però fare più ricorso a finanziamenti a fondo perso.
Bail in e Bail out
Il “Bail-in” ha il suo opposto nel “bail-out”: si tratta di una definizione inglese che, letteralmente, significa “cauzione esterna”. In senso più ampio, può essere tradotta con “salvataggio esterno“.
Il bail-out è un termine utilizzato per indicare l’intervento nei confronti di una struttura in una situazione di insolvenza, con il diretto coinvolgimento di risorse esterne.
Come il bail-in, anche il bail-out, utilizzato spesso in passato, si applica a assicurazioni e banche, per evitare gravi conseguenze finanziarie, legate al ruolo particolare che queste istituzioni ricoprono. Al contrario del bail-in, il bail-out però prevedeva l’intervento dello Stato nel piano di salvataggio delle banche, con il coinvolgimento di tutti i contribuenti.
Le modalità possono essere diverse: il prestito da parte della Banca Centrale, in caso di carenza di liquidità; un intervento diretto dello Stato attraverso il bilancio pubblico (ricapitalizzazione da parte dello Stato, garanzie, ecc.), in caso di insolvenze; un intervento combinato di più Stati, con l’aiuto ad esempio del Fondo Monetario Europeo, per evitare il default di un altro Stato.
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