Il tasso d’interesse, secondo le teorie economiche tradizionali, i cui principi basilari furono sviluppati già negli anni ’30 da I.Fisher ne La teoria dell’interesse, è una sorta di prezzo del denaro che aiuta a far incontrare il risparmio con l’investimento.
In particolare, i tassi d’interesse si muoverebbero per far raggiungere le condizioni ottimali affinché chi ha disponibilità di denaro per investimenti, da una parte, e chi non ha i mezzi finanziari per acquistare beni di consumo, dall’altra, siano d’accordo per scambiarsi temporaneamente i soldi tramite un prestito.
In termini semplificati ma abbastanza realistici, quando nel sistema c’è abbondanza di denaro risparmiato disponibile per finanziare gli acquisti a prestito, il prezzo del denaro si abbassa.
Quando, al contrario, i bisogni di denaro legati ai progetti di consumo degli individui o dello Stato sono molto superiori rispetto al denaro disponibile nel sistema, il costo del denaro si alza.
Come si è però reso conto chi ha vissuto durante gli anni ’80 in Italia, per spiegare come si muovono i tassi d’interesse, è fondamentale considerare un altro fattore: l’inflazione. Se infatti il potere d’acquisto della nostra moneta si erode velocemente, le operazioni di investimento e di finanziamento espresse nella moneta inflazionata richiedono una compensazione per l’inflazione futura di ammontare quasi equivalente: per un aumento di inflazione attesa pari a X%, i tassi d’interesse aumentano di un corrispondente X%.
Tassi di interesse e banche
Quando introduciamo anche il ruolo delle “banche” la logica cambia in parte, dato che dobbiamo aggiungere un attore che opera a scopo di lucro e che quindi subordina la propria attività tipica – l’erogazione del credito – all’ottenimento del profitto. Per ottenere profitto dal credito, le banche devono allargare il più possibile la cosiddetta “forbice” tra tassi che riconoscono ai clienti sui soldi depositati presso di loro e i tassi che richiedono ai clienti che vogliono un prestito. Quindi a fianco delle logiche di sistema menzionate nel precedente paragrafo, compare un fattore specifico legato alla volontà e capacità della banca di far pagare molto il denaro ai suoi clienti cercando di remunerarlo il meno possibile.
Tassi di interesse e mutui
Se si parla di tassi d’interesse sui mutui e prestiti erogati dalle banche, subentra poi anche la valutazione del soggetto da cui si origina la richiesta di finanziamento. È abbastanza intuitivo il principio che un investimento con alti rischi debba prevedere un rendimento molto elevato per compensarli. Su queste basi, formalizzate con metodologie di analisi del rischio molto evolute, i richiedenti del mutuo/prestito vengono catalogati con classi (rating del prenditore) alle quali vengono associati livelli di “prezzo del rischio” minori o maggiori. Questo prezzo del rischio non è altro che lo “spread”, un sovrapprezzo specifico di ciascuna categoria di richiedenti mutuo/prestito che viene aggiunto al tasso base “di sistema” di cui parlavamo prima. A soggetti richiedenti con maggiore rischio, vengono associati spread maggiori e quindi tassi d’interesse maggiori.
Tassi di interesse negativi
Per arrivare al fulcro dell’articolo, i tassi d’interesse negativi sono una conseguenza di circostanze di sistema, più che legati a scelte operate dalle banche o a fattori specifici individuali. In questo momento storico, in particolare, esistono due ragioni che tengono i tassi d’interesse a livelli così bassi praticamente in tutto il mondo. Primo, per aiutare l’economia ad uscire dalla crisi dei mutui “subprime” nel 2007-2008, dopo il fallimento della banca Lehman Brothers, le istituzioni mondiali hanno deciso di portare il denaro a zero. Secondo, per dinamiche concorrenziali globali virtuose dovute principalmente all’ingresso sui mercati dei beni di consumo di paesi produttori a bassissimo costo come la Cina, l’inflazione in tutto il mondo negli ultimi due decenni è diminuita in modo drastico avvicinandosi a zero, e quindi i tassi d’interesse l’hanno seguita di pari passo.